Luchino Visconti porta nel film un’ineguagliabile fusione di arte, storia e pensiero. Il romanzo originario di Giuseppe Tomasi di Lampedusa diventa per il regista l’occasione di sviluppare la sua personalissima versione della recherche proustiana, attraversata da un fitto dedalo di luci e ombre, intrisa di realismo verghiano fatalista. Il Gattopardo è avviluppato da una coltre funebre: la frase forse più celebre del film, “perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”, sembra vergata nel marmo di una lapide. E non solo suona come interpretazione storica di un paese succube di un trasformismo atavico e infrangibile, ma ha anche il sapore di una considerazione che trascende il momento e riecheggia un sentimento universale. Per citare Martin Scorsese, Il Gattopardo è “uno stupefacente arazzo cinematografico in cui ogni gesto, ogni parola, la disposizione di ogni oggetto in ciascuna stanza richiama in vita un mondo perduto”. Per tutti gli interpreti principali, si tratta del film che ha segnato in maniera indelebile la loro già gloriosa carriera. Fortemente voluto da Goffredo Lombardo, a dispetto di un impegno produttivo che rischiò di metterlo irreparabilmente in ginocchio, Il Gattopardo è l’emblema delle produzioni Titanus, dove l’arte e lo spettacolo si incontrano per raccontare la storia con un tratto indelebile.